"Black Snake" ^^

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Ramm
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Ecco qui un mio progettino, gia inserito precedentemente.. Lo rimetto :D
Il secondo capitolo è pronto da tempo, per ora lascio questo, se piace continuo a postare (sarebbe inutile postarli se nessuno li legge asd )
(a proposito, lo metto appresso a questo nello stesso post o ne apro un altro? non mi pare il caso..)


Black Snake

Capitolo 1

Sapeva di star esagerando, eppure torcergli a quel modo il braccio gli procurava anche un insano piacere.
<Dimmelo> chiese il ragazzo con un truce scintillio negli occhi.
<Te l’ho detto, non so di cosa stai parlando…> farfugliò quella persona che ad uno strano scricchiolio del suo gomito emise un ululato spaventoso <va bene, va bene te lo dirò, ma ti prego basta o me lo romperai..>
<Pensavo foste più coraggiosi voi della Corporazione.> osservò malevolo il ragazzo.
<Coraggiosi sì, non stupidi.> ammise quello col fiato corto.
<Penso tu sappia cosa siamo> All’annuire del ragazzo continuò <lavoriamo al soldo dell’impero, spesso gli vendiamo informazioni sulla resistenza, altre volte semplicemente i nostri servigi.. Sai sanno come ricompensare bene quelli.>
<Com’è la vostra divisione interna? Classi e gradi, parla.>
Dopo un occhiataccia velenosa dell‘uomo <Al nostro interno abbiamo una struttura piramidale con alla base i cacciatori “semplici” come me, poi via via si sale di grado fino ai due ufficiali del capo, Eric e Kurt, e infine c’è Marlon, colui che ha creato la Corporazione e che tuttora la comanda… Colui che appena saprà della mia insubordinazione non esiterà ad uccidermi.> concluse l’uomo sputando a terra in segno di rassegnazione.
<Il vostro covo?>
<Al centro di Roma, ex comando delle forze militari.>
<Come ci arrivo?>
<Pensaci da solo.> lo sfidò l’uomo.
Il ragazzo seccato ormai da quella inutile reticenza, lo colpì forte alla mascella, probabilmente fratturandogliela in due o più punti. L’uomo sputando sangue rialzò il capo e lo guardò ferocemente, reso impotente dalla presa d’acciaio al braccio destro, quello con cui avrebbe tanto voluto impugnare il suo coltello a serramanico e squartarlo dalla cintola in su.
Il giovane, afferrate le sue intenzioni intensificò il suo ghigno, nonché la leva all’articolazione, e gli disse <Sai di non poterti muovere, rispondimi e avrai salva la vita, altrimenti…> e si fece capire mostrando il pugnale appeso alla cintura dei pantaloni.
L’uomo sussurrò a denti stretti, probabilmente qualche parolaccia all’indirizzo del ragazzo, poi disse <Segui questa strada, sempre dritto, ti porterà nei pressi del centro di Roma, una volta terminata ti basta chiedere, non è un luogo nascosto, è ben visibile ci puoi arrivare anche da solo.>
Soddisfatto delle notizie - dopotutto l’uomo era un cacciatore semplice, non immaginava sapesse molto altro - gli liberò il braccio, e l’uomo rantolò per il dolore che esplose all’atterrare sulla spalla maltrattata e dolorante.
Il ragazzo lo guardò, carico di odio, e si sforzò di rimanere impassibile all’uomo che strisciava ai suoi piedi e che secondo il suo parere non chiedeva altro di essere ucciso. Tenendo a freno i suoi istinti si voltò e fece per andarsene.
Il suo udito alquanto acuto lo avvertì di uno scalpiccio alle spalle e giratosi si ritrovò davanti l’uomo che aveva raccolto nuovamente il suo coltello; mentre quello gli si tuffava addosso lui schivò di lato lasciando sulla traiettoria il piede su cui l’uomo inciampò rovinando a terra.
<Cosa credevi che dopo averti dato informazioni tanto importanti ti avrei lasciato andare così?! Avresti fatto meglio a uccidermi pivello.> sghignazzò l’uomo rialzandosi, dopodichè tentò un altro attacco.
Il ragazzo, questa volta preparato all’assalto, bloccò al volo il suo affondo con la mano sinistra e con un gesto fulmineo, che l’avversario registrò solo parzialmente, sfilò dalla cintura il pugnale e glielo conficcò alla base del collo con un unico rapido e fluido gesto.
<Scusa, un errore che non si ripeterà più.> fece il ragazzo ripulendo la lama del suo splendido pugnale sulla stoffa della camicia dell’uomo a terra agonizzante.
Alla fine lo aveva fatto. Nonostante quello che potesse sembrare dallo scontato esito del combattimento, era la prima persona che uccideva; certo aveva ucciso una moltitudine di animali durante il suo allenamento, sapeva come uccidere rapidamente tanto un lupo quanto un uomo, ma con i secondi era la prima volta che arrivava a questo punto. Eppure in quel momento non sentì dentro di sé altra emozione che una efferata gioia, e nonostante sapesse che tutto ciò era sbagliato - i sentimenti che provava dopo l’uccisione, non l’uccisione in se - capì che se davvero voleva andare fino in fondo aveva bisogno di questi sentimenti.. E che lo guidassero pure, non gliene importava niente. A lui importava una sola cosa, la sua vendetta.

Come prima cosa Roy - questo era il suo nome - decise di tornare a casa a prendere le sue cose. Si era fatto una certa idea della strada da intraprendere d’ora in avanti; purtroppo aveva dovuto pedinare per alcuni giorni un cacciatore per poter avere qualche informazione a proposito della Corporazione, che rimaneva avvolta nell’oscurità al di fuori della capitale nonostante agisse praticamente in tutta Italia. Nonostante si fosse preparato finora per tutto ciò, lo colse impreparato la vastità dell’impianto interno della Corporazione, quanti membri aveva e su che scala agiva, ma soprattutto il fatto che avesse delle spie all’interno della resistenza italiana che da anni combatteva l’invasione dell’impero, con risultati tutt’altro che confortanti.
Ripensandoci, l’unica arma che aveva dalla sua la resistenza, cioè la sorpresa, era venuta a mancare da qualche anno a questa parte, e nonostante arrivassero poche notizie degli scontri di guerriglia nei dintorni di casa sua era ormai chiaro che fosse in netto svantaggio.
Forse dovrei semplicemente unirmi alla resistenza e lottare al loro fianco pensò per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta si disse che non era questo il suo destino, no, ho un obiettivo ben preciso e non avrò pace finchè non l’avrò centrato e portato a termine.
Scavalcato il cancelletto ormai scardinato entrò dentro casa, raccolse i pochi stracci che decise gli sarebbero serviti, un po’ di frutta, della carne secca e salata, del pane raffermo e vecchio quasi quanto l’uomo che aveva appena ucciso e una borraccia; infine passò in rassegna le armi che avrebbe dovuto portare con se, scegliendo solo quelle che più gli sarebbero servite. Aggiunse all’ormai inseparabile pugnale - regalo del suo caro maestro, Marcus - dei coltelli da lancio, una boccetta di veleno preparato da lui stesso, per ogni evenienza, arco e frecce e una vecchia pistola sempre di proprietà del maestro - oggetto ormai quasi introvabile nell’impero a causa della decaduta delle tecnologie e delle industrie dal 2050 in poi, un ritorno al passato quasi assoluto, ad una vita nei campi con il solo ausilio di sole, acqua e braccia - che decise comunque di nascondere nel fondo del suo zaino da viaggio insieme alle ultime due scatole di proiettili ancora in suo possesso.

Da quando le pistole smisero di essere prodotte, come anche le altre armi da fuoco, cannoni e simili, quelle in circolazione insieme a tutte le munizioni furono perlopiù radunate dall’impero, ma anche la resistenza riuscì ad impossessarsi di una buona percentuale, cosicchè gli scontri di guerriglia inizialmente - per la precisione dal 2080 anno in cui l’espansione dell’impero raggiunse l’Italia - furono ancora soprattutto scontri a fuoco. Lentamente alle armi da fuoco si sostituirono le armi bianche e il tiro con l’arco per le grandi distanze, tecniche forse obsolete ma sempre efficaci. Lo stesso governo Italiano si oppose con tutte le proprie forze allo stradominio imperiale, e per ben 3 anni riuscì a mantenere sotto il suo controllo almeno la capitale e la sua periferia nonostante perdesse inesorabilmente terreno; almeno finchè, una corporazione di cacciatori di taglie che aveva preso piede con l’avanzare della crisi italiana della seconda metà del XXI secolo, il Black Snake, decise che era ora di affrancarsi al maggior offerente e cominciò a logorare dall’interno la fortezza creatasi a Roma. Nel giro di un paio di mesi il governo cadde sotto i colpi dell’esercito imperiale, che riceveva continuamente nuove leve dai paesi europei sottomessi al suo potere, oltre che dalla sterminata madrepatria Russia. Senza aiuti dall’oltreoceano, ormai solo l’Inghilterra resisteva all’avanzata imperiale, soprattutto grazie al mare che li divideva e che non permetteva un’offensiva maggiore, e il sogno delle resistenze di tutta Europa, focolai che ancora scoppiavano nelle maggiori capitali del vecchio continente, era quello di raggiungere l’Inghilterra per poter così sferrare una controffensiva e ricacciare indietro l’occupatore; difatti l’impero regnava all’estero instaurando il terrore nei popoli, e i membri delle varie resistenze sapevano che al giusto segnale, tutte le masse cittadine si sarebbero affrancate a loro per la rivolta.
Ma tutto ciò aveva relativamente toccato la vita di Roy, che aveva vissuto più o meno serenamente parte della sua gioventù, almeno fino al triste evento che lo ha costretto ad un’esistenza votata alla bramosia di vendicarsi. Ormai solo, colui che l’aveva salvato dal vagabondare all’età di 11 anni era stato il suo maestro, un ex comandante dell’esercito italiano di nome Marcus, che l’aveva trovato moribondo in un campo nei dintorni di Aprilia, con i vestiti stracciati e la fame che lo stava lentamente uccidendo. Fu lui a portarlo in casa e a curarlo e nutrirlo, quella stessa in cui si trovava ora.

Ed era infine arrivato il momento di doverla abbandonare, dirle addio, come aveva detto addio praticamente ad ogni cosa nel corso della sua seppur breve vita. Ma era consapevole che questo sarebbe stato, nel bene o nel male - non che gliene importasse dell’esito della sua vita, fintantoché poteva vendicarsi - il suo ultimo saluto; dopotutto si era allenato ogni singolo giorno per cinque anni aspettando questa avventura, e nonostante tutto gli sembrava comunque troppo presto, di non essere pronto mentalmente. Continuò a rimuginare per un po’ su quei pensieri ridondanti che gli offuscavano la mente, poi si accorse di quanto stupido doveva sembrare lì fermo impalato - come se qualcuno potesse passare da queste parti sbuffò ironicamente - così issato lo zaino in spalla salutò silenziosamente la casa e si voltò, pronto a partire.

Decise come prima cosa di passare per un tratto che ben conosceva lungo le sponde del torrentello dove tante volte aveva fatto il bagno dopo gli estenuanti allenamenti con Marcus. Arrivato in prossimità della sponda si avvicinò a due pietre vicine con inciso sopra entrambe un’iniziale. La prima, più vicina, recava una M maiuscola, ed è li che aveva sepolto il maestro, cerimonia breve e sbrigativa visto che il pover’uomo non aveva l’ombra di un parente da avvertire.
Era sempre stato un uomo solitario, e anche se Roy gli aveva portato una ventata di freschezza nella vita eremitica che si era costruito e gli era stato vicino per cinque anni, non aveva mai saputo da lui granchè sul suo passato nè tantomeno se avesse avuto parenti in vita.
Il giovane non aveva più lacrime da versare, tuttavia rimase alcuni minuti a fissare la lapide - se così si poteva chiamare - ripensando a quanto aveva potuto amare Marcus, come il padre che non aveva mai avuto.
Poi lentamente si voltò e a passi strascicati si avvicinò all’altra, per poi inginocchiarsi e sfiorare la seconda roccia con le dita; anch’essa portava una lettera incisa, una V tremolante, e questa volta, ripensando al suo passato e a ciò che si accingeva a fare, una lacrima solitaria scese lungo la sua guancia destra, solcandogli il leggero strato di sporcizia accumulatosi durante i suoi appostamenti mentre dava la caccia al tagliagole ucciso in precedenza.
Passato qualche minuto di silenzio, si voltò verso il ruscello e si lavò vigorosamente la faccia, poi riempì la borraccia bevve qualche lungo sorso con le mani a coppa e mostrando il viso al vento riassunse la sua aria compassata che tanto poco si addiceva ad un sedicenne che da poco aveva raggiunto la maggiore età.
Solo cinque giorni fa ho compiuto sedici anni… Umph, bel modo di festeggiare pensò ironicamente Roy mentre si incamminava verso la strada principale che lo avrebbe condotto a Roma.

Molto di ciò che vedeva gli era nuovo, o comunque appartenente ad un passato lontano ed offuscato; uno stradone di asfalto crepato in diversi punti si dipanava da dove si trovava in entrambe le direzioni, lui prese la via che portava a nord, verso Roma. Decise per sicurezza di incamminarsi al lato della strada così da essere meno notato e fare in tempo a nascondersi in caso di rumore sospetti.
Alcune carcasse di macchine antiche erano riverse ai bordi della carreggiata, quasi in segno di lutto per la decadenza che ormai regnava in quello che una volta era stato il Bel Paese, ormai devastato da carestie, guerre civili e impoverimento; il trasporto era, come nella maggior parte dei casi, ritornato a metodi antichi di circa due secoli, con calessi e carovane trainate da muli e cavalli, e proprio lo scalpiccio degli zoccoli di un cavallo temeva di avvertire Roy, tanto da farlo stare continuamente in allerta.
Ricordava da studi passati che la capitale e la sua cittadina distavano circa cinquanta km, o poco più, e stimò che a passo sostenuto ma sull’attenti, e con il dovuto riposo, gli ci sarebbero voluti circa cinque giorni di viaggio. Il sostentamento era più che sufficiente, anche se quello era il minore dei problemi perché avrebbe sempre potuto cacciare un qualche animale, cosa che gli era sempre riuscita più che bene.
Nei suoi calcoli di viaggio però il ragazzo non aveva messo in conto eventuali perdite di tempo. Come il fatto che ad ogni rumore, benchè misero, si doveva nascondere dietro una fratta per evitare grane con la gente di passaggio, e quantopiù si avvicinava a Roma, tantopiù si moltiplicavano carovane e persone in viaggio, a piedi e non, in direzione della capitale, con il risultato che al crepuscolo del primo giorno aveva percorso si e no otto km.
Stanco e amareggiato dall’esito del primo giorno di viaggio, si addentrò per un paio di centinaio di metri in un campo abbandonato e consumato un pasto frugale, si srotolò su di se una copertina - era primavera, e la notte in quei tempi portava solo una leggera brezza solleticante - e poggiata la testa su un cumuletto di fieno si abbandonò ai suoi pensieri…

Era in riva al fiumiciattolo vicino casa, sedeva a terra a gambe incrociate e con gli occhi chiusi cercava invano di rilassare gli arti che aveva appena finito di sottoporre ad uno sforzo quasi disumano, com’era suo solito ogni mattina.
Il suo maestro, avendo ormai finito di allenarlo, si trovava gia dentro a preparare il pranzo, borbottando tra se. In passato l’ex comandante aveva avuto un fisico pressoché perfetto, un po’ basso di statura rispetto alla norma ma definito nei minimi particolari in ogni muscolo del suo corpo; dall’aspetto fiero e dall’animo nobile, anche se molto severo, aveva guidato per i primi anni la resistenza contro l’impero, finchè, impotente davanti all’incedere di quest’ultimo, aveva lasciato i rivoltosi in mano ad un suo sottoposto più giovane e si era ritirato a vita privata, stanco della morte e della distruzione che le continue battaglie portavano nella sua vita.
Ora, ricurvo per l’età - sessanta diceva lui, settanta pensava con malizia Roy - manteneva ancora una certa tonicità dei muscoli, era però lo stato mentale che cominciava a cedere sotto i colpi della malattia che poi lo avrebbe portato alla morte. Soffriva di quello che era comunemente chiamato morbo degli ex guerriglieri il quale era solito colpire in età avanzata i soldati che erano stati in passato sempre a contatto con armi, ormai quasi del tutto estinte, di tipo elettronico.
L’esposizione a continue radiazioni gli aveva provocato tumori e quant’altro che finivano con il causare sporadiche perdite di memoria, ma soprattutto violenti tremori e sempre più spesso, stati catatonici. Naturalmente in quei frangenti era Roy stesso a prendersi cura del maestro, e ormai aveva imparato come alleviare in parte almeno il dolore alle ossa e i tremori, senza però trovare rimedi per i problemi di tipo psico-fisico. Anche se non era ancora il periodo peggiore, Roy ricordava bene quel giorno, in cui la malattia del maestro gli si era presentata in tutta la sua violenza.
Ad un grugnito di richiamo di Marcus, Roy si alzò stiracchiandosi - nonostante fosse ormai abituato agli estenuanti allenamenti, il maestro quel giorno era stato particolarmente pesante e il ragazzo faticava a rilassare i muscoli in tiro - e interpretando il suo malumore prese posto senza una parola a tavola. Consumarono un pranzo a base di coniglio, cacciato in precedenza, con contorno di insalata, senza parlare molto; mentre Roy ancora si chiedeva il perché di quel mutismo, il maestro si alzò e sparecchiando il tavolo si volse verso il lavello.
Nel frangente di tempo in cui Roy vide cadere a terra i piatti e le posate, pensò ad una svista del maestro, e tossicchiò per nascondere una risatina, ma accorgendosi che quello non aveva fatto una piega, capì che qualcosa non andava. Roy si alzò e fece il giro del tavolo per trovarselo di fronte: stava fissando un punto in alto sul muro, come se ci trovasse qualcosa di estremamente interessante, poi come seguendo un qualche insetto invisibile, girò su se stesso e finì per terra con un tonfo secco, cominciando a tremare da capo a piedi e facendo strani mugolii.
Roy impiegò qualche secondo a capire che si trattava di un attacco epilettico in piena regola: aveva letto qualcosa a riguardo, così si sfilò al volo la cinghia dei pantaloni e costrinse l’anziano maestro ad aprire la bocca per fargliela mordere, di modo che non rischiasse il soffocamento tentando di ingoiarsi la lingua. Ma c’era qualcosa di strano nel suo ricordo; passati due, tre minuti il tremore non accennava a diminuire, come ben sapeva da tutte le volte in cui aveva assistito il maestro, e in più cominciò a tossire, arrivando persino a sputare sangue; Roy, preso dal panico, cominciò a tamponargli la bocca pulendogli il miscuglio di sangue e saliva, inorridito dallo sviluppo improvviso della situazione.
Dopo alcuni istanti - che a Roy sembrarono ore - il tremore cominciò a diminuire, ma il sangue che colava dalla bocca non accennava a diminuire e tra gli spasimi, il maestro riprese vagamente conoscenza, per guardarlo con quegli occhi neri che da sempre contraddistinguevano uno sguardo deciso e penetrante ma che ora denotavano solo una vista annebbiata. Mentre a Roy si velavano gli occhi di lacrime Marcus fece per parlare, sforzandosi il più possibile senza però emettere un fiato, e alla fine con un lungo rantolante sospiro chinò la testa di lato. Roy, tremante avvicinò le dita al collo, premendo la giugulare, ma dopo alcuni istanti si rese conto che il maestro non dava segni di vita e ormai in preda all‘orrore cominciò a scuotere il maestro.
Sentendosi andare in pezzi dentro, esternò al cielo il suo strazio interiore per l’ennesima definitiva perdita…


E sempre urlando si ridestò dal suo sonno agitato, madido di sudore e in preda ad un forte tremolio, dovuto anche all’esposizione, sudato, alla brezza notturna. Guardandosi intorno come un leone in trappola, si mise a sedere e cercò di recuperare le proprie facoltà mentali che avevano ricevuto un duro trauma.
Non è la prima volta che sogno quel giorno orrendo, ma sicuramente non era quello il giorno in cui il maestro morì.. Cosa diavolo è successo? E’ dovuto alla stanchezza mentale, oppure..?! rimase per un po’ così a rimuginare, e lo stesso fece una volta sdraiato fino a che, dopo parecchio tempo, scivolò nuovamente in un sonno questa volta pesante e privo di incubo.
And again..

..It's me Against the World
Ospite

Complimenti! E' davvero bello questo inizio di racconto e tu scrivi veramente in maniera divina.
Questo primo capitolo soddisfa la mia ricerca di una buona scrittura da gustare parola per parola, costruzione dopo costruzione.

Veramente non so cosa altro dire: amo moltissimo leggere e di solito non analizzo, ma vado piuttosto ad istinto. E d'istinto ti chiedo di continuare e di postare un'altro capitolo! Non vedo l'ora.. ;)
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Io posto il secondo capitolo, in realtà gia pronto da tempo, sperando che piaccia anche questo.. ^^
Di lunghezza simile al primo, è ancora abbastanza introduttivo, (in effetti il progetto è di una storia seria, quindi i primi cap lo sono perlopiù tutti).

CAPITOLO 2


A causa della nottata insonne, la mattina si svegliò intontito e un po’ più tardi del dovuto, e decise di recuperare accelerando un po’ il passo, a rischio di essere notato da qualcuno. Quella mattina un cielo carico di pioggia sovrastava tutto nel raggio di decine e decine di km e Roy era combattuto tra il cercare un riparo sicuro e continuare comunque sotto la pioggia sfruttando il fatto che non avrebbe incontrato nessun’altro a piedi. Alla fine optò per il continuare a camminare finchè si fosse o meno infittita la pioggia, sicuro del possibile riparo veloce che gli offriva la boscaglia a qualche decina di metri dal bordo della carreggiata.
Mentre il cielo si oscurava sempre più, avvistò in lontananza una carrozza, la terza già quella mattina nonostante il tempo, segno evidente dell’avvicinarsi della città. Come al solito si allontanò di qualche passo dal bordo stradale e si rifugiò dietro un cespuglio aspettando che passasse l’inconveniente. Mentre lo zoccolio si faceva più pesante, nonostante le prime gocce di pioggia, Roy capì che c’era qualcosa di diverso dalla solita carrozza; Questa era più grande della media, stranamente adornata anche se in modo rozzo e rinforzata con ruote dai finimenti ferrosi; portava su un lato un marchio ben noto, un pugno che stringeva un serpente nero, il simbolo della Corporazione che cercava, il Black Snake.
Appiattendosi il più possibile al terreno temendo un possibile confronto lottò silenziosamente con se stesso: aveva l’irrefrenabile voglia di saltare li sopra e uccidere ogni singolo uomo che vi trovava, per poi rubare un cavallo e appiccare fuoco alla carrozza… tornando con la mente sul piano mortale scrollò la testa per schiarirsi le idee e si fece ancor più piccolo di quanto gia fosse.
Vide la carrozza avvicinarsi sempre più, e poi rallentare ad una decina di metri dal punto i cui si trovava.
Perché stanno rallentando, che mi abbiano visto? No, non è possibile, forse hanno scorto un animale muoversi e cercano semplicemente cibo.. O forse visto l’acquazzone imminente hanno deciso di fermarsi preventivamente per salvaguardare il carico e i cavalli..
Mentre elucubrava sul possibile motivo, la carrozza finì con il fermarsi ad un paio di metri da dove era stato fino a poco prima sul bordo stradale e una testa spuntò dal tendone, tendendo una torcia a pile - oh guarda cos’hanno, pensavo fossero sparite dalla circolazione ormai pensò Roy - e annuendo si rivolse a chi era all’interno, dove si alzò un coro di voci preoccupate.
Ma che diavolo.. Iniziò Roy, poi seguendo lo sguardo dell’uomo affacciato finalmente le scorse ..Oh cazzo, le mie impronte! e maledicendo se stesso e la sua sbadataggine, pensò ad un modo per uscirne al più presto evitando lo scontro.
Come probabilmente si sarà capito, non è il battersi in se che Roy temeva, ma quello che se stesso avrebbe scatenato se lasciato libero di agire contro il suo nemico più acerrimo. Ma a giudicare dalle spade nei foderi e dai calci di un paio di pistole che vedeva spuntare dai cinturoni delle quattro persone che vide scendere dal carro, lo scontro era più che vicino; sempre acquattato prese la pistola da dentro lo zaino e controllò il caricatore, come sempre pieno di morte in capsule. Nonostante avesse sparato poco con pistole vere, si era ben allenato con un vecchio modello ad aria compressa recuperato dal maestro, e sapeva di essere letale quasi come se non quanto con il pugnale.
Li vide confabulare brevemente e, torce in mano, a due a due si divisero in direzioni diverse, ad angolo di novanta gradi, finendo proprio per accerchiare i cespugli in cui si era rifugiato il ragazzo.
Roy dalla sua sapeva di avere la sorpresa, così decise di attaccare un gruppo alla volta sperando che il secondo non avesse il tempo di reagire.
Mentre, freddo come il ghiaccio aspettava il momento giusto un elemento estraneo ai fatti diede il via al massacro; un tuono, fragoroso come lo scoppio simultaneo di cento detonatori, investì potente la zona attorno al gruppo, lasciando di stucco tutti tranne Roy che evidentemente aspettava solo un segnale di partenza.
Saltato su come una molla, rivolse la canna della 357 magnum ai due più vicini e la spianò in tutta la sua potenza: fece letteralmente saltare il cranio al primo, con un colpo sopra l’occhio destro - un vero gioiellino in ricordo dei vecchi tempi, e non ti devi neanche preoccupare di avere una mira perfetta! era solito scherzarci Marcus - e spostando di pochi gradi la mira colpì al petto il secondo. Tutto questo nel giro di una frazione di secondo.
Nel mentre gli altri due cercavano di capire chi e cosa avesse ucciso i compagni, Roy si voltò verso loro e esplose altri due colpi a segno, entrambi nel petto, uno all‘altezza del pomo d‘adamo, l’altro nei pressi del cuore - avevi proprio ragione maestro pensò Roy con un misto di furore e soggezione verso l’arma guardando i due stramazzare a terra.
Senza stare troppo a pensare corse verso la carrozza, sperando, nella sua furia omicida, di trovare qualcun altro da far fuori.
Mentre percorreva gli ultimi metri si affacciò un quinto uomo con l’espressione allarmata dagli spari; Roy gli si parò subito sotto e senza dargli il tempo di capire l’accaduto gli afferrò il braccio e da sopra il carro lo fece rotolare sull’anca con una presa tipica del judo scaraventandolo a terra, e nel mentre quello urtava terra gli bloccò il braccio in una leva e sfilò il pugnale dalla cintola puntandoglielo alla gola. Poi chiese, con la voce arrochita dopo lo sforzo e il tanto non parlare:
<Dove siete diretti?>
Quello riprese un attimo fiato, poi vedendo l’arma puntata cominciò a gesticolare senza però rispondere. Allora Roy stringendo la morsa gli chiese ancora <Cosa state andando a fare e dove? Rispondi!>.
Quello, allarmato dalla venatura omicida nella voce del ragazzo gesticolò ancor più freneticamente, sbracciando con l’arto libero e mugolando, mettendo così in mostra un moncone di lingua, decisamente non lunga quanto sarebbe dovuta essere.
Ma tutte a me capitano.. Riflettè cinicamente Roy, poi ad alta voce ed ironicamente <Beh evidentemente parlavi un po’ troppo> e stringendo l’impugnatura affondò la lama sotto al mento sgozzandolo.
Ammesso che fosse riuscito a placare la sua sete di sangue, non poteva permettersi di lasciare in vita qualcuno che lo aveva visto, anche se muto.
Per prima cosa controllò brevemente che non ce ne fossero altri, ne tantomeno eventuali spettatori nei paraggi, poi prese a trascinare i corpi fuori dalla strada, e ad accatastarli in una zona di campo con erba alta, dove erano ben nascosti da occhi indiscreti.
Tornato alla carrozza e accompagnato dal nitrire dei cavalli resi nervosi dalla ormai pioggia fitta, salì sulla carrozza e rovistò alla ricerca di informazioni utili. Non avendo trovato niente che lo soddisfacesse recuperò qualche altra munizione adeguata alla sua arma e qualcos‘altro che gli sarebbe tornato utile lungo il viaggio.
Ma quello che veramente gli interessava si trovava fuori. Passò in rassegna i due cavalli, e scelto quello all’apparenza più resistente gli tolse la briglia e gli mise sopra una sella rimediata nel carro, poi liberò l’altro dopo avergli fatto portare la carrozza qualche decina di metri oltre il limitare del boschetto, invisibile a chi guardava dalla strada.
Decise di incamminarsi per un altro po‘ per allontanarsi dal luogo dello scontro, sperando di trovare rifugio più avanti in qualche casa abbandonata o al limite sotto qualche grande arbusto.
Percorsi un paio di km, molto più in fretta ora che cavalcava, - non lo aveva mai fatto e difatti impiegò qualche minuto per farsi accettare dal cavallo e imparare a comandarlo - trovò un piccolo fienile abbandonato. Entrò ed esausto si lasciò cadere su un giaciglio di paglia improvvisato e nel giro di pochi secondi cadde nuovamente in un sonno popolato da sogni confusi ed agitati.

Si risvegliò ben prima dell’alba, con ancora dei vaghi e confusi ricordi del sogno che aveva avuto, sebbene questa volta meno angoscioso. Il cavallo, che gia scalpitava quasi smanioso di rimettersi in cammino, era a qualche metro da lui, impegnato a sgranocchiare della biada che la sera prima Roy aveva trovato nel fienile. Dopo aver messo anche lui qualcosa sotto i denti risellò il cavallo e uscì dal fienile tenendolo per le briglie.
Dopo la sfuriata della notte prima, il cielo era di un bell’azzurro intenso, con appena qualche virgola bianca e fumosa all’orizzonte, e il sole appena affacciatosi dietro i monti in lontananza faceva presupporre una giornata calda al limite del torrido. Incoraggiato dal fatto di non essere più a piedi, spronò il cavallo ad un’andatura intermedia, non al trotto ma regolare riprendendo il cammino sullo stradone per Roma da dove lo aveva abbandonato la sera prima.
Deciso ormai a procedere spedito, continuò a mantenere l’andatura cadenzata, tenendo perlopiù la testa bassa in occasione di incroci sospetti, in parte rassicurato dalla larga visiera del suo cappello.
Ormai ogni dieci minuti incontrava qualcuno a piedi o a cavallo, con e senza carrozza, in un andirivieni che comunque non gli avrebbe permesso di nascondersi e nel frattempo proseguire senza farsi vedere; se fosse stato calmo e non avesse mostrato nessun movimento particolare, nessuno avrebbe potuto riconoscerlo per quel che era in realtà.
Pensandoci bene, nessuno può sapere chi io sia o cosa voglia in realtà.. Bah avrei dovuto pensarci prima, questa prudenza mi ha solo rallentato da quando sono partito si disse Roy, dandosi poi dell’idiota ad alta voce.
Tornò con il pensiero all’accaduto di ieri forse neanche loro volevano qualcosa in particolare, magari erano gia agitati per qualcosa e avendo visto le impronte hanno voluto scoprire di più per sicurezza.
Ho ucciso cinque persone, sei se conto il primo cacciatore nei pressi di Aprilia. Non devo pensarci troppo, se il mio piano va in porto, finirò per perdere il conto dei morti..
Rimuginando sull’efferatezza con cui aveva colpito - nonostante lo sgomento, era assai orgoglioso di come si era comportato - coprì svariati chilometri, e solo quando il sole era gia in parabola discendente decise di fermarsi brevemente per uno spuntino e far riposare Fiamma, come aveva ribattezzato l’animale, in onore del cavallo che aveva posseduto il suo maestro e di cui tante volte gli aveva raccontato.
Mentre addentava un sandwich vecchio di quasi due giorni, vide in lontananza, decentrato di un chilometro circa dal vettore che segnava il percorso da intraprendere, un piccolo centro abitato; decise che quella sera si sarebbe concesso un riposo migliore e dissetati se stesso e il cavallo, ripartì alla volta del paese.

A conti fatti avrò percorso una quindicina di chilometri circa in meno di un giorno di viaggio riflettè Roy mentre sorpassava il cartello con su scritto “Benvenuti a Pomezia”. Probabilmente ci metterò meno di cinque giorni.
Davanti a se si apriva una strada larga abbastanza da lasciar passare due carrozze affiancate, e ai lati le case avevano un aspetto antico, quasi trascurato, ma decisamente in buono stato rispetto a quelle morte e cadenti del centro di Aprilia, la quale era stata ai tempi della guerra uno dei maggiori punti di scontro tra la resistenza e l’Impero.
Ora la resistenza aveva stabilito il suo centro a Napoli e pareva aver sbarrato sufficientemente l’avanzata imperiale, che aveva deciso con riluttanza che il sud d’Italia, dalla Campania in giù, al momento non gli sarebbe servito.
Mentre percorreva la strada principale del paese si avvide di molte figure incappucciate oltre alle tante persone che camminavano; Pomezia era in effetti un crocevia importante tra il sud del Lazio e la capitale, e lo testimoniavano i tanti carri che transitavano e le persone che incontrava, quindi probabilmente è teatro di molti affari tra persone che vogliono tenere segrete le loro identità, almeno questo spiega le losche figure viste in precedenza annotò mentalmente.
Tralasciata una locanda dall’aria troppo lussuosa, si incamminò verso l’altra parte della strada, ma dopo aver chiesto al padrone della seconda locanda rimase sconcertato dal fatto che non c‘era neanche una stanza libera, e che in quel periodo forse non avrebbe trovato posto neanche nella altre tre rimanenti. Ringraziato il locandiere, si incamminò verso la prossima.
Guarda se devo dormire sotto le stelle questa notte pensò amaramente dopo aver abbandonato con aria mesta l’ennesimo ostello. Avviatosi verso la fine della strada, ormai con il sole per metà nascosto all’orizzonte, avvistò un’ultima locanda e dopo aver bussato, salutò l’uomo dietro il banco <Salve, avete una stanza per me questa notte?>
<Ah, sei fortunato ragazzo, me ne sono rimaste due, e ora una te la sei aggiudicata> sorrise bonariamente l’uomo attempato.
<Bene> sospirò Roy <Spero abbiate una rimessa per il mio cavallo..>
<Certo certo, è proprio l’edificio affianco a questo, fai pure mentre io ti vado a preparare la stanza - è la numero 16.
Se invece hai fame la taverna qui davanti è sempre di nostra proprietà, e se hai gia acquistato una stanza abbiamo prezzi migliori> gli strizzò l’occhio e si avviò per le scale.
Bene mi ci vuole proprio un bel pasto si disse Roy mentre legava il cavallo al palo affianco ad altre bestie nella rimessa e gli versava della biada nella ciotola davanti. Uscito dall’edifico si avviò verso quello davanti e dopo aver controllato di essersi nascosto bene il pugnale e i coltelli entrò nella taverna.
Immediatamente lo avvolse un misto di confusione, voci alte che si urlavano parolacce da una parte all’altra dello stanzone e cori di gente ubriaca, nonchè odori invitanti di pietanze e bibite.
Decise di andarsi a sedere in fondo, dove c’era un tavolino appartato apposta per lui; schiena al muro, aveva davanti a se l’intera visuale del bar, e per non correre rischi inutili si calò il cappuccio della mantella sul volto. Dopo un po’ arrivo una cameriera dall’aria stanca e decisamente afflitta.
<Cosa vuoi da mangiare?>
<Cosa avete di buono?>
<Di buono praticamente tutto, ma oggi c’è la specialità del cuoco, chili molto piccante> affermò quella con molto meno fervore di quanto intendessero le parole.
<Mmmh.. Sì può andare.. da bere una birra, grazie.>
Quella grugnì qualcosa scribacchiando su un taccuino e si allontanò ignorando i fischi a suo indirizzo da parte di un gruppo di uomini ubriachi seduti al bancone.
Roy girò brevemente lo sguardo per la stanza notando le pareti consunte, il pavimento già lercio e più in generale l’aspetto cadente della locanda; immerso nel lusso pensò divertito e sconfortato allo stesso tempo.
La cameriera - o almeno era quello che sembrava - tornò con un vassoio con sopra un piatto fumante e una birra, un tozzo di pane, posate e un tovagliolo. Roy la ringraziò, e mentre si apprestava a mangiare ricordò la sua infanzia, cosa che faceva ormai molto di rado, in cui era solito pregare prima di ogni pasto; sorrise amaramente non c’è un dio dietro questo cibo, semplicemente una persona che ha cacciato la bestia, una che l’ha cucinata e io che ora me la mangio. In passato forse lo avrei pensato.. volse lo sguardo intorno a se, con la taverna avvolta in un clima perlopiù festoso anche se in gran parte a causa dell’alcool …Non oggi.
Mentre mangiava riflettè su cosa avrebbe fatto l’indomani come se avessi scelta sbuffò dritto verso Roma, e questa volta voglio vederne la periferia entro il crepuscolo. Però devo pensare ad un’identità fittizia, non posso presentarmi alla Corporazione con il mio vero nome, dopotutto mio padre ne ha fatto parte e si ricorderanno del mio cognome. Già rischio anche solo mostrando il mio volto.. Forse è meglio se altero anche quello. Mi stanno giusto crescendo le prime avvisaglie di una barba, forse se mi dimostrassi un po’ più maturo della mia età sarebbe meglio..
Perso nei suoi pensieri, non si avvide immediatamente di due persone che lo scrutavano dal bancone, parlottando tra di loro e soffocando qualche ghigno. Alzatisi fecero qualche passo verso Roy, il quale ritornando dal suo mondo subito si mise allerta, continuando però a mangiare per non dare nell’occhio.
Cosa vogliono? Di certo non posso scatenare una rissa in questo locale, altrimenti dovrei andarmene dalla città stanotte stessa.
I due, prendendo due sedie e affiancandolo da entrambi i lati del tavolo, si chinarono su di lui.
<Sei nuovo di qui vero?> fece uno dei due con la faccia lunga simile a quella di un cavallo.
<Decisamente lo sei, visto che non ci hai dato ciò che ci spetta di diritto> continuò l’altro, dall’aria decisamente più intelligente del primo, anche se la zaffata d’alcool che investì Roy gli indicò che si era scolato un numero di birre pari alle persone che aveva incontrato quel giorno.
Allo sguardo interrogativo del ragazzo, quello proseguì <Ma come non lo sai? E’ una tassa che tutti pagano per permettersi di mangiare e pernottare qui.. Lo giuro, chiedi al mio compagno!> fece quello fingendo benevolenza. L’altro annuì stupidamente con un sorriso ancor più idiota stampato in faccia.
Pensando bene a ciò che avrebbe dovuto dire in quella circostanza per evitare grane, Roy assunse un tono neutro <Sentite ragazzi, non voglio guai, per piacere lasciatemi finire il pasto, pago e me ne vado>
<Guai? No no ragazzo, tranquillo, nessun guaio> minimizzò lo spilungone con fare gioviale, poi con tono basso e minaccioso <almeno finchè tu ci darai quello che vogliamo. Che ne dici dei soldi che hai in tasca? ..Tutti quelli, e perché no, anche quello che c’è nella borsa, visto mai che troviamo qualcosa di interessante> disse rivolto al compare, che scoppiò in una breve risata stridula.
Roy, con ancora stretto nel pugno il cucchiaio pieno di chili, strinse la mano nascosta intorno all’elsa del pugnale, costringendosi a cercare di ragionare con i due, ma vedendo ben poche possibilità di riuscita.
<Che ne dite se vi pago un paio di birre? Avanti, io ci viaggio con questa roba, non posso mica darvela>
<Oh si che puoi, puoi e devi!> scherzò il secondo e diede ancora in una risata stridula. Potrei ucciderlo anche solo per questa si disse Roy, sempre più infastidito.
Lo spilungone gli si fece più vicino e tornando al tono minaccioso <Ragazzo se non l’avessi capito è un ordine, dacci subito tutto, o potresti finire molto male>
E fece baluginare il riflesso di una lama, subito nascosta nuovamente sotto al tavolo.
Roy sospirò brevemente, pensando al modo più rapido per liberarsi dei due senza combinare troppi danni al locale e già sospirando all’idea di un’altra nottata all’aperto.
Improvvisamente dal nulla apparve una mano sull’enorme braccio peloso dello spilungone, la quale glielo torse violentemente come fosse uno stelo d‘erba, facendogli cadere il coltello ed emettere un urlo effeminato in contrasto con l’impressione che dava di resistenza fisica.
Un ragazzo biondo, più o meno dell’età di Roy, aveva imprigionato l’uomo in una morsa che lo stesso Roy ben conosceva. Mentre lo spilungone gemeva per il dolore il compare, inebetito in un primo momento, si alzò meccanicamente e mise mano alla cintola; senza troppo riflettere Roy svuotò il contenuto del cucchiaio e tenendolo stretto per l’estremità più larga, fece rapidamente il giro del tavolino e piantò il bordo semi-affilato nel fianco dell’uomo ancora libero, afferrandolo nel contempo per una spalla per non farlo voltare.
<Allora, facciamo che questa volta non succede niente e ve ne andate senza rompere le scatole a chicchessia> disse il ragazzo accorso in aiuto di Roy con voce calma.
<Va bene, va bene..> rispose con voce soffocata lo spilungone.
Mentre Roy reggeva l’altro che si dimenava, strattonò la sua camicia per fargli evitare movimenti bruschi e così facendo espose la base del collo.
Il cuore prese a battergli forte e strinse con forza la spalla dell’uomo, tanto da provocargli uno spasmo al braccio: aveva tatuato un sinuoso serpente nero sibilante stretto in un pugno, il marchio di riconoscimento degli appartenenti al Black Snake.
Sentì subito qualcosa smuoversi dentro, qualcosa che, se ne accorse, sarebbe potuto diventare incontrollabile..
Evitando di proferire parola per esporsi troppo, lasciò concludere la faccenda al ragazzo, che chiuso il discorsetto sfilando il coltello dalla cintola dello spilungone e spingendolo via verso la porta della taverna. Mentre gli astanti fissavano lo spettacolino, quello soffiò qualche parolaccia e se ne andò stringendosi il braccio gonfio; lo seguì poco dopo l’altro.
Roy riprese un ritmo regolare nel respirare, e dopo alcuni secondi presi per calmarsi dalla spiacevole sorpresa si risedette davanti alla sua cena guardando il nuovo venuto <Ti ringrazio, mi hai evitato parecchi guai> disse veramente riconoscente.
<Non che ce ne fosse bisogno a quanto ho potuto capire> fece schernendosi quello mentre lo guardava incuriosito.
<Non è mai detto, due contro uno in uno spazio affollato, limitatezza dei movimenti; ti ripeto, è stato un bene che tu mi abbia aiutato, grazie ancora>
<Beh, non c’è di che.. Nei tuoi movimenti ho notato un che di familiare, fluidità e dimestichezza, per non parlare del modo freddo in cui ti sei comportato.. Hai per caso imparato da qualcuno tutto ciò? Inoltre ho visto il pugnale che tieni alla cintola mentre ti alzavi, non è da tutti possederne uno del genere.> fece il giovane.
E’ intelligente e ha buon occhio notò impressionato Roy e oltretutto ha quasi le mie stesse capacità, se non migliori. <Sì ho avuto un buon maestro> rispose vagamente Roy indicando la cintola <e quello è un suo regalo.. Come ti chiami? Io sono Roy> e tese la mano.
Con una stretta breve e ferma l’altro rispose <Il mio nome è Jonathan, ma puoi chiamarmi Joe, in effetti lo preferisco.> sorrise quello <Di dove sei Roy?>
<Di qui vicino, Aprilia. Te?> posso fidarmi a raccontargli di me? Sembra un tipo a posto, e dopotutto mi ha anche aiutato con quei due tizi; non è possibile che acuto com’è non abbia notato i serpenti sul collo, quindi ne deduco che non fa parte della Corporazione pensò Roy.
<Io vengo da Napoli, sono in viaggio verso Roma> e chinandosi e abbassando la voce <cerco il capo della resistenza stazionato a Roma, devo riferirgli una cosa dal Consiglio di giù> disse gonfiando un po’ il petto, chiaramente orgoglioso dell’incarico.
Lui si è fidato subito di me a quanto pare.. Forse ispiro fiducia osservò ironico Roy. Così decise per una mezza verità <Anch’io sono diretto a Roma, ho una cosa importante da fare.. Alloggi qui davanti stanotte?>
<Già, non c’è di meglio in questo periodo> disse amaramente Joe.
<Infatti.. Dai ordina qualcosa, offro io, è il minimo per quello che hai fatto oggi!>
<No ti ringrazio, non ce n’è bisogno, e poi non era niente di che..> minimizzò lui.
Finirono con il mangiare assieme, chiacchierando del più e del meno e bevendo qualche birra più del dovuto. Alla fine, un po’ alticcio, Joe guardò Roy ed esclamò <Allora amico, perché non viaggiamo insieme fino a Roma? Fa sempre piacere un po’ di compagnia.>
Roy non ci vide niente di male e annuì <Va bene, perché no..>
Stettero ancora un po’, mentre il locale andava svuotandosi, sempre più succubi di ingenti quantità di alcolici.
<Forse è meglio se andiamo a letto, preferirei svegliarmi presto la mattina> disse Roy, poco convinto lui stesso della veridicità delle sue parole visto come si sentiva girare la testa; aveva bevuto veramente tanto e anche se Marcus non gli aveva mai detto niente a proposito, lasciandogli fare ciò che meglio credeva, aveva sempre avuto il rigore di fermarsi quando sentiva che il livello alcolico era troppo alto; ma chiacchierando allegramente aveva perso il senso della misura insieme a parte della sua ragione.
Joe si trovò decisamente d’accordo e alzandosi andarono a pagare al bancone, poi si trascinarono fuori dalla taverna e attraversata la strada entrarono nella locanda. Salirono le scale, e al primo piano Joe lo salutò augurandogli buonanotte e ciondolando il capo lungo il corridoio fino ad una porta sulla destra.
<‘Notte> biascicò intontito Roy e salì un’altra rampa di scale, imboccò il corridoio e dopo un buon cinque minuti di trafficare di chiavi riuscì ad aprire la porta; si tolse la cintola, la ripose su una sedia affianco al letto, poi si abbandonò su quest’ultimo: si addormentò appena sfiorato il cuscino secondi, e quella notte non ci furono sogni per lui.
And again..

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Bellissimo anche questo capitolo... sono curiosa di conoscere meglio Joe (...chissà da che parte sta!). Trovo strana l'embientazione che hai dato a questo racconto, fatico ad immaginarmi Roma, Napoli l'Italia in generale coinvolta in questa serie di eventi, forse xchè storie del genere erano sempre ambientate altrove, in posti magari dai nomi impronunciabili....Non vedo l'ora di leggerne il seguito!

Posso sembrarti ripetitiva, ma la tua scrittura mi piace un sacco!! Continua please.... ;)
Yamato

Finalmente mi sono ricordato di leggere anche il secondo capitolo xD Gli avevo dato un'occhiata tempo fa, e non l'avevo più letto completamente. Allora...:
- il modo di porre l'intreccio è carino, si dipana lentamente ma con una buona maestria e si fa leggere facilmente e anche con una buona curiosità per quello che succederà;
- prima lui che si nasconde dai nemici, e poi finisce in una locanda... anche tu fan del "Signore degli Anelli"? xD
- la parte dolente è la scrittura: a parte i "sé" che diventano "se" e i "chilometri" che vengono scritti abbreviati, è proprio a livello di punteggiatura e di chiarezza delle frasi che l'ho trovata un po' pesante, e leggermente peggio del primo capitolo. A volte si fatica veramente troppo a seguire la struttura delle frasi!! Insomma, alla fine è l'unico elemento su cui devi lavorare, per il resto va benissimo!
Attendo il seguito, e perdona il ritardo nel commentare!!
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Ramm
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Oh, grazie per i commenti..
Per rispondere a Yamato, visto che a Stefy gia le ho risposto :D
Grazie per i complimenti; per quanto riguarda la nota dolente (gia che è l'unica, e ci credo poco, mi fa molto piacere asd ), purtroppo è sempre quella, anche se devo dire a mia discolpa che io scrivo di getto e poi la "correzione" è una cosa molto leggera (non mi va molto di applicarmici).
Cmq la cosa per me importante è che la scrittura sia leggibile/godibile a livello interpretativo, poi le correzioni vengono da sè, almeno penso. Il terzo cap è pronto da tempo, ora vedo se postarlo o no ^^
And again..

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