Il secondo capitolo è pronto da tempo, per ora lascio questo, se piace continuo a postare (sarebbe inutile postarli se nessuno li legge )
(a proposito, lo metto appresso a questo nello stesso post o ne apro un altro? non mi pare il caso..)
Capitolo 1
Sapeva di star esagerando, eppure torcergli a quel modo il braccio gli procurava anche un insano piacere.
<Dimmelo> chiese il ragazzo con un truce scintillio negli occhi.
<Te l’ho detto, non so di cosa stai parlando…> farfugliò quella persona che ad uno strano scricchiolio del suo gomito emise un ululato spaventoso <va bene, va bene te lo dirò, ma ti prego basta o me lo romperai..>
<Pensavo foste più coraggiosi voi della Corporazione.> osservò malevolo il ragazzo.
<Coraggiosi sì, non stupidi.> ammise quello col fiato corto.
<Penso tu sappia cosa siamo> All’annuire del ragazzo continuò <lavoriamo al soldo dell’impero, spesso gli vendiamo informazioni sulla resistenza, altre volte semplicemente i nostri servigi.. Sai sanno come ricompensare bene quelli.>
<Com’è la vostra divisione interna? Classi e gradi, parla.>
Dopo un occhiataccia velenosa dell‘uomo <Al nostro interno abbiamo una struttura piramidale con alla base i cacciatori “semplici” come me, poi via via si sale di grado fino ai due ufficiali del capo, Eric e Kurt, e infine c’è Marlon, colui che ha creato la Corporazione e che tuttora la comanda… Colui che appena saprà della mia insubordinazione non esiterà ad uccidermi.> concluse l’uomo sputando a terra in segno di rassegnazione.
<Il vostro covo?>
<Al centro di Roma, ex comando delle forze militari.>
<Come ci arrivo?>
<Pensaci da solo.> lo sfidò l’uomo.
Il ragazzo seccato ormai da quella inutile reticenza, lo colpì forte alla mascella, probabilmente fratturandogliela in due o più punti. L’uomo sputando sangue rialzò il capo e lo guardò ferocemente, reso impotente dalla presa d’acciaio al braccio destro, quello con cui avrebbe tanto voluto impugnare il suo coltello a serramanico e squartarlo dalla cintola in su.
Il giovane, afferrate le sue intenzioni intensificò il suo ghigno, nonché la leva all’articolazione, e gli disse <Sai di non poterti muovere, rispondimi e avrai salva la vita, altrimenti…> e si fece capire mostrando il pugnale appeso alla cintura dei pantaloni.
L’uomo sussurrò a denti stretti, probabilmente qualche parolaccia all’indirizzo del ragazzo, poi disse <Segui questa strada, sempre dritto, ti porterà nei pressi del centro di Roma, una volta terminata ti basta chiedere, non è un luogo nascosto, è ben visibile ci puoi arrivare anche da solo.>
Soddisfatto delle notizie - dopotutto l’uomo era un cacciatore semplice, non immaginava sapesse molto altro - gli liberò il braccio, e l’uomo rantolò per il dolore che esplose all’atterrare sulla spalla maltrattata e dolorante.
Il ragazzo lo guardò, carico di odio, e si sforzò di rimanere impassibile all’uomo che strisciava ai suoi piedi e che secondo il suo parere non chiedeva altro di essere ucciso. Tenendo a freno i suoi istinti si voltò e fece per andarsene.
Il suo udito alquanto acuto lo avvertì di uno scalpiccio alle spalle e giratosi si ritrovò davanti l’uomo che aveva raccolto nuovamente il suo coltello; mentre quello gli si tuffava addosso lui schivò di lato lasciando sulla traiettoria il piede su cui l’uomo inciampò rovinando a terra.
<Cosa credevi che dopo averti dato informazioni tanto importanti ti avrei lasciato andare così?! Avresti fatto meglio a uccidermi pivello.> sghignazzò l’uomo rialzandosi, dopodichè tentò un altro attacco.
Il ragazzo, questa volta preparato all’assalto, bloccò al volo il suo affondo con la mano sinistra e con un gesto fulmineo, che l’avversario registrò solo parzialmente, sfilò dalla cintura il pugnale e glielo conficcò alla base del collo con un unico rapido e fluido gesto.
<Scusa, un errore che non si ripeterà più.> fece il ragazzo ripulendo la lama del suo splendido pugnale sulla stoffa della camicia dell’uomo a terra agonizzante.
Alla fine lo aveva fatto. Nonostante quello che potesse sembrare dallo scontato esito del combattimento, era la prima persona che uccideva; certo aveva ucciso una moltitudine di animali durante il suo allenamento, sapeva come uccidere rapidamente tanto un lupo quanto un uomo, ma con i secondi era la prima volta che arrivava a questo punto. Eppure in quel momento non sentì dentro di sé altra emozione che una efferata gioia, e nonostante sapesse che tutto ciò era sbagliato - i sentimenti che provava dopo l’uccisione, non l’uccisione in se - capì che se davvero voleva andare fino in fondo aveva bisogno di questi sentimenti.. E che lo guidassero pure, non gliene importava niente. A lui importava una sola cosa, la sua vendetta.
Come prima cosa Roy - questo era il suo nome - decise di tornare a casa a prendere le sue cose. Si era fatto una certa idea della strada da intraprendere d’ora in avanti; purtroppo aveva dovuto pedinare per alcuni giorni un cacciatore per poter avere qualche informazione a proposito della Corporazione, che rimaneva avvolta nell’oscurità al di fuori della capitale nonostante agisse praticamente in tutta Italia. Nonostante si fosse preparato finora per tutto ciò, lo colse impreparato la vastità dell’impianto interno della Corporazione, quanti membri aveva e su che scala agiva, ma soprattutto il fatto che avesse delle spie all’interno della resistenza italiana che da anni combatteva l’invasione dell’impero, con risultati tutt’altro che confortanti.
Ripensandoci, l’unica arma che aveva dalla sua la resistenza, cioè la sorpresa, era venuta a mancare da qualche anno a questa parte, e nonostante arrivassero poche notizie degli scontri di guerriglia nei dintorni di casa sua era ormai chiaro che fosse in netto svantaggio.
Forse dovrei semplicemente unirmi alla resistenza e lottare al loro fianco pensò per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta si disse che non era questo il suo destino, no, ho un obiettivo ben preciso e non avrò pace finchè non l’avrò centrato e portato a termine.
Scavalcato il cancelletto ormai scardinato entrò dentro casa, raccolse i pochi stracci che decise gli sarebbero serviti, un po’ di frutta, della carne secca e salata, del pane raffermo e vecchio quasi quanto l’uomo che aveva appena ucciso e una borraccia; infine passò in rassegna le armi che avrebbe dovuto portare con se, scegliendo solo quelle che più gli sarebbero servite. Aggiunse all’ormai inseparabile pugnale - regalo del suo caro maestro, Marcus - dei coltelli da lancio, una boccetta di veleno preparato da lui stesso, per ogni evenienza, arco e frecce e una vecchia pistola sempre di proprietà del maestro - oggetto ormai quasi introvabile nell’impero a causa della decaduta delle tecnologie e delle industrie dal 2050 in poi, un ritorno al passato quasi assoluto, ad una vita nei campi con il solo ausilio di sole, acqua e braccia - che decise comunque di nascondere nel fondo del suo zaino da viaggio insieme alle ultime due scatole di proiettili ancora in suo possesso.
Da quando le pistole smisero di essere prodotte, come anche le altre armi da fuoco, cannoni e simili, quelle in circolazione insieme a tutte le munizioni furono perlopiù radunate dall’impero, ma anche la resistenza riuscì ad impossessarsi di una buona percentuale, cosicchè gli scontri di guerriglia inizialmente - per la precisione dal 2080 anno in cui l’espansione dell’impero raggiunse l’Italia - furono ancora soprattutto scontri a fuoco. Lentamente alle armi da fuoco si sostituirono le armi bianche e il tiro con l’arco per le grandi distanze, tecniche forse obsolete ma sempre efficaci. Lo stesso governo Italiano si oppose con tutte le proprie forze allo stradominio imperiale, e per ben 3 anni riuscì a mantenere sotto il suo controllo almeno la capitale e la sua periferia nonostante perdesse inesorabilmente terreno; almeno finchè, una corporazione di cacciatori di taglie che aveva preso piede con l’avanzare della crisi italiana della seconda metà del XXI secolo, il Black Snake, decise che era ora di affrancarsi al maggior offerente e cominciò a logorare dall’interno la fortezza creatasi a Roma. Nel giro di un paio di mesi il governo cadde sotto i colpi dell’esercito imperiale, che riceveva continuamente nuove leve dai paesi europei sottomessi al suo potere, oltre che dalla sterminata madrepatria Russia. Senza aiuti dall’oltreoceano, ormai solo l’Inghilterra resisteva all’avanzata imperiale, soprattutto grazie al mare che li divideva e che non permetteva un’offensiva maggiore, e il sogno delle resistenze di tutta Europa, focolai che ancora scoppiavano nelle maggiori capitali del vecchio continente, era quello di raggiungere l’Inghilterra per poter così sferrare una controffensiva e ricacciare indietro l’occupatore; difatti l’impero regnava all’estero instaurando il terrore nei popoli, e i membri delle varie resistenze sapevano che al giusto segnale, tutte le masse cittadine si sarebbero affrancate a loro per la rivolta.
Ma tutto ciò aveva relativamente toccato la vita di Roy, che aveva vissuto più o meno serenamente parte della sua gioventù, almeno fino al triste evento che lo ha costretto ad un’esistenza votata alla bramosia di vendicarsi. Ormai solo, colui che l’aveva salvato dal vagabondare all’età di 11 anni era stato il suo maestro, un ex comandante dell’esercito italiano di nome Marcus, che l’aveva trovato moribondo in un campo nei dintorni di Aprilia, con i vestiti stracciati e la fame che lo stava lentamente uccidendo. Fu lui a portarlo in casa e a curarlo e nutrirlo, quella stessa in cui si trovava ora.
Ed era infine arrivato il momento di doverla abbandonare, dirle addio, come aveva detto addio praticamente ad ogni cosa nel corso della sua seppur breve vita. Ma era consapevole che questo sarebbe stato, nel bene o nel male - non che gliene importasse dell’esito della sua vita, fintantoché poteva vendicarsi - il suo ultimo saluto; dopotutto si era allenato ogni singolo giorno per cinque anni aspettando questa avventura, e nonostante tutto gli sembrava comunque troppo presto, di non essere pronto mentalmente. Continuò a rimuginare per un po’ su quei pensieri ridondanti che gli offuscavano la mente, poi si accorse di quanto stupido doveva sembrare lì fermo impalato - come se qualcuno potesse passare da queste parti sbuffò ironicamente - così issato lo zaino in spalla salutò silenziosamente la casa e si voltò, pronto a partire.
Decise come prima cosa di passare per un tratto che ben conosceva lungo le sponde del torrentello dove tante volte aveva fatto il bagno dopo gli estenuanti allenamenti con Marcus. Arrivato in prossimità della sponda si avvicinò a due pietre vicine con inciso sopra entrambe un’iniziale. La prima, più vicina, recava una M maiuscola, ed è li che aveva sepolto il maestro, cerimonia breve e sbrigativa visto che il pover’uomo non aveva l’ombra di un parente da avvertire.
Era sempre stato un uomo solitario, e anche se Roy gli aveva portato una ventata di freschezza nella vita eremitica che si era costruito e gli era stato vicino per cinque anni, non aveva mai saputo da lui granchè sul suo passato nè tantomeno se avesse avuto parenti in vita.
Il giovane non aveva più lacrime da versare, tuttavia rimase alcuni minuti a fissare la lapide - se così si poteva chiamare - ripensando a quanto aveva potuto amare Marcus, come il padre che non aveva mai avuto.
Poi lentamente si voltò e a passi strascicati si avvicinò all’altra, per poi inginocchiarsi e sfiorare la seconda roccia con le dita; anch’essa portava una lettera incisa, una V tremolante, e questa volta, ripensando al suo passato e a ciò che si accingeva a fare, una lacrima solitaria scese lungo la sua guancia destra, solcandogli il leggero strato di sporcizia accumulatosi durante i suoi appostamenti mentre dava la caccia al tagliagole ucciso in precedenza.
Passato qualche minuto di silenzio, si voltò verso il ruscello e si lavò vigorosamente la faccia, poi riempì la borraccia bevve qualche lungo sorso con le mani a coppa e mostrando il viso al vento riassunse la sua aria compassata che tanto poco si addiceva ad un sedicenne che da poco aveva raggiunto la maggiore età.
Solo cinque giorni fa ho compiuto sedici anni… Umph, bel modo di festeggiare pensò ironicamente Roy mentre si incamminava verso la strada principale che lo avrebbe condotto a Roma.
Molto di ciò che vedeva gli era nuovo, o comunque appartenente ad un passato lontano ed offuscato; uno stradone di asfalto crepato in diversi punti si dipanava da dove si trovava in entrambe le direzioni, lui prese la via che portava a nord, verso Roma. Decise per sicurezza di incamminarsi al lato della strada così da essere meno notato e fare in tempo a nascondersi in caso di rumore sospetti.
Alcune carcasse di macchine antiche erano riverse ai bordi della carreggiata, quasi in segno di lutto per la decadenza che ormai regnava in quello che una volta era stato il Bel Paese, ormai devastato da carestie, guerre civili e impoverimento; il trasporto era, come nella maggior parte dei casi, ritornato a metodi antichi di circa due secoli, con calessi e carovane trainate da muli e cavalli, e proprio lo scalpiccio degli zoccoli di un cavallo temeva di avvertire Roy, tanto da farlo stare continuamente in allerta.
Ricordava da studi passati che la capitale e la sua cittadina distavano circa cinquanta km, o poco più, e stimò che a passo sostenuto ma sull’attenti, e con il dovuto riposo, gli ci sarebbero voluti circa cinque giorni di viaggio. Il sostentamento era più che sufficiente, anche se quello era il minore dei problemi perché avrebbe sempre potuto cacciare un qualche animale, cosa che gli era sempre riuscita più che bene.
Nei suoi calcoli di viaggio però il ragazzo non aveva messo in conto eventuali perdite di tempo. Come il fatto che ad ogni rumore, benchè misero, si doveva nascondere dietro una fratta per evitare grane con la gente di passaggio, e quantopiù si avvicinava a Roma, tantopiù si moltiplicavano carovane e persone in viaggio, a piedi e non, in direzione della capitale, con il risultato che al crepuscolo del primo giorno aveva percorso si e no otto km.
Stanco e amareggiato dall’esito del primo giorno di viaggio, si addentrò per un paio di centinaio di metri in un campo abbandonato e consumato un pasto frugale, si srotolò su di se una copertina - era primavera, e la notte in quei tempi portava solo una leggera brezza solleticante - e poggiata la testa su un cumuletto di fieno si abbandonò ai suoi pensieri…
Era in riva al fiumiciattolo vicino casa, sedeva a terra a gambe incrociate e con gli occhi chiusi cercava invano di rilassare gli arti che aveva appena finito di sottoporre ad uno sforzo quasi disumano, com’era suo solito ogni mattina.
Il suo maestro, avendo ormai finito di allenarlo, si trovava gia dentro a preparare il pranzo, borbottando tra se. In passato l’ex comandante aveva avuto un fisico pressoché perfetto, un po’ basso di statura rispetto alla norma ma definito nei minimi particolari in ogni muscolo del suo corpo; dall’aspetto fiero e dall’animo nobile, anche se molto severo, aveva guidato per i primi anni la resistenza contro l’impero, finchè, impotente davanti all’incedere di quest’ultimo, aveva lasciato i rivoltosi in mano ad un suo sottoposto più giovane e si era ritirato a vita privata, stanco della morte e della distruzione che le continue battaglie portavano nella sua vita.
Ora, ricurvo per l’età - sessanta diceva lui, settanta pensava con malizia Roy - manteneva ancora una certa tonicità dei muscoli, era però lo stato mentale che cominciava a cedere sotto i colpi della malattia che poi lo avrebbe portato alla morte. Soffriva di quello che era comunemente chiamato morbo degli ex guerriglieri il quale era solito colpire in età avanzata i soldati che erano stati in passato sempre a contatto con armi, ormai quasi del tutto estinte, di tipo elettronico.
L’esposizione a continue radiazioni gli aveva provocato tumori e quant’altro che finivano con il causare sporadiche perdite di memoria, ma soprattutto violenti tremori e sempre più spesso, stati catatonici. Naturalmente in quei frangenti era Roy stesso a prendersi cura del maestro, e ormai aveva imparato come alleviare in parte almeno il dolore alle ossa e i tremori, senza però trovare rimedi per i problemi di tipo psico-fisico. Anche se non era ancora il periodo peggiore, Roy ricordava bene quel giorno, in cui la malattia del maestro gli si era presentata in tutta la sua violenza.
Ad un grugnito di richiamo di Marcus, Roy si alzò stiracchiandosi - nonostante fosse ormai abituato agli estenuanti allenamenti, il maestro quel giorno era stato particolarmente pesante e il ragazzo faticava a rilassare i muscoli in tiro - e interpretando il suo malumore prese posto senza una parola a tavola. Consumarono un pranzo a base di coniglio, cacciato in precedenza, con contorno di insalata, senza parlare molto; mentre Roy ancora si chiedeva il perché di quel mutismo, il maestro si alzò e sparecchiando il tavolo si volse verso il lavello.
Nel frangente di tempo in cui Roy vide cadere a terra i piatti e le posate, pensò ad una svista del maestro, e tossicchiò per nascondere una risatina, ma accorgendosi che quello non aveva fatto una piega, capì che qualcosa non andava. Roy si alzò e fece il giro del tavolo per trovarselo di fronte: stava fissando un punto in alto sul muro, come se ci trovasse qualcosa di estremamente interessante, poi come seguendo un qualche insetto invisibile, girò su se stesso e finì per terra con un tonfo secco, cominciando a tremare da capo a piedi e facendo strani mugolii.
Roy impiegò qualche secondo a capire che si trattava di un attacco epilettico in piena regola: aveva letto qualcosa a riguardo, così si sfilò al volo la cinghia dei pantaloni e costrinse l’anziano maestro ad aprire la bocca per fargliela mordere, di modo che non rischiasse il soffocamento tentando di ingoiarsi la lingua. Ma c’era qualcosa di strano nel suo ricordo; passati due, tre minuti il tremore non accennava a diminuire, come ben sapeva da tutte le volte in cui aveva assistito il maestro, e in più cominciò a tossire, arrivando persino a sputare sangue; Roy, preso dal panico, cominciò a tamponargli la bocca pulendogli il miscuglio di sangue e saliva, inorridito dallo sviluppo improvviso della situazione.
Dopo alcuni istanti - che a Roy sembrarono ore - il tremore cominciò a diminuire, ma il sangue che colava dalla bocca non accennava a diminuire e tra gli spasimi, il maestro riprese vagamente conoscenza, per guardarlo con quegli occhi neri che da sempre contraddistinguevano uno sguardo deciso e penetrante ma che ora denotavano solo una vista annebbiata. Mentre a Roy si velavano gli occhi di lacrime Marcus fece per parlare, sforzandosi il più possibile senza però emettere un fiato, e alla fine con un lungo rantolante sospiro chinò la testa di lato. Roy, tremante avvicinò le dita al collo, premendo la giugulare, ma dopo alcuni istanti si rese conto che il maestro non dava segni di vita e ormai in preda all‘orrore cominciò a scuotere il maestro.
Sentendosi andare in pezzi dentro, esternò al cielo il suo strazio interiore per l’ennesima definitiva perdita…
E sempre urlando si ridestò dal suo sonno agitato, madido di sudore e in preda ad un forte tremolio, dovuto anche all’esposizione, sudato, alla brezza notturna. Guardandosi intorno come un leone in trappola, si mise a sedere e cercò di recuperare le proprie facoltà mentali che avevano ricevuto un duro trauma.
Non è la prima volta che sogno quel giorno orrendo, ma sicuramente non era quello il giorno in cui il maestro morì.. Cosa diavolo è successo? E’ dovuto alla stanchezza mentale, oppure..?! rimase per un po’ così a rimuginare, e lo stesso fece una volta sdraiato fino a che, dopo parecchio tempo, scivolò nuovamente in un sonno questa volta pesante e privo di incubo.