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Dioneo

qui di seguito ho la presunzione di riportare i miei brevi racconti, se la cosa dovesse andarvi bene e se la mia ispirazione dovesse smettere col prozac, allora proseguiro'! ;)

La vita del professor Luna
Spoiler:
L’aula mormorava, una cosa del genere era davvero inaspettata. Un viavai di gente per i corridoi dell’edificio, quasi tutti vestiti di nero, fosse passato un estraneo avrebbe sicuramente pensato alla morte di qualcuno, e non si sarebbe distolto poi troppo dalla realta’ dei fatti. Il professor Luna, celebre docente di Lettere all’universita’ di Palermo, era scomparso da piu’ di una settimana. L’ultima volta che qualcuno lo incontro’, aveva un’espressione estatica, gli occhi che premevano per uscire dalle orbite e le gote umide, il tutto condito da uno stato di trance.
Giovanni Luna aveva ormai passato gli ottanta ed era stato cordialmente salutato dall’Ateneo, la pensione lo attendeva.
Non aveva mai voluto parlare di pensionamento, aveva dedicato la vita agli studi classici ed ora si aspettava una ricompensa da essi, di certo non una “cacciata”. Le sue giornate erano dedite a continui approfondimenti, a relazioni con gli studenti, che rappresentavano il “sale della sua vita”, come ripeteva spesso, a rapporti unici con i classici, alcuni pensavano che la sua mente avesse ricreato, sottoforma di amico immaginario, nientemeno che Giacomo Leopardi, col quale era stato beccato a “conversare” in piu’ d’un occasione.
I segni dell’eta’ avevano preso il sopravvento sul suo cervello e questo aveva portato alla decisione di mandarlo a casa per vivere quel che gli restava con la sua famiglia. Quel che non sapevano gli organi superiori era che Giovanni non aveva una famiglia, sua moglie, Ada, mori’ qualche mese dopo le nozze e lui non si risposo’ mai. Non aveva, dunque, figli, l’unica persona rimastagli era sua sorella, con la quale, pero’, i rapporti si erano logorati dopo la morte di Ada. Laura, sua sorella, era la migliore amica di Ada ed accuso’ sempre il fratello di essere stato lui la causa di quella morte prematura, non le aveva dato mai attenzioni, sempre immerso nei suoi studi, portandola alla morte per depressione; L’aveva trovata dentro la vasca da bagno con le vene tagliate.
Da quel momento Giovanni non fu piu’ lo stesso, sebbene la sorella la pensasse diversamente, amava quella donna e la vista della sua morte gli sconvolse la vita. Comincio’ a trascurarsi, passava sempre piu’ tempo all’universita’, ma si limitava a parlare solo durante le lezioni. Si chiuse a riccio tentando una fuga da quello spettro che lo opprimeva e non gli dava pace.

Gli studenti passeggiano nervosi, c’e’ chi piange in un angolo e chi scava tra i ricordi, la polizia ha, ormai, smesso di cercare e, proprio stamani, e’ stata organizzata una messa in suo onore.

Era stato chiamato, come spesso accadeva, in presidenza per un colloquio, non poteva immaginare quello che sarebbe successo. Luca Russo, il preside della facolta’, comincio’ un discorso sul tempo che scorreva inesorabile, tra una citazione di Mimnermo ed una di Lorenzo il Magnifico, facendogli capire che non c’era piu’ posto per lui in quell’edificio. Neanche in quel caso Giovanni si apri’, l’universita’ era la sua vita, ad ogni parola sentiva il sangue gelare nelle vene, avrebbe avuto voglia di buttarsi ai piedi di Luca, supplicandolo di cambiare idea; non fece nulla di tutto cio’, prese la giacca e se ne ando’, senza dire una parola, rifiutando la stretta di mano e, non appena si volto’, iniziarono a scendere lacrime dal suo volto, copiose come una pioggia autunnale.

Al funerale di Ada nessuno gli fece le condoglianze, nessuna mano amica gli fu tesa, Laura aveva fatto terra bruciata intorno a lui, ma non mostro’ segni di reazione. Mentre il feretro veniva accompagnato al camposanto, riaffioravano in lui le immagini del loro primo incontro, le pagine di quel libro che li uni’. Galeotto fu un libro, difatti.
Giovanni stava facendo una ricerca sulle rappresentazioni dell’amore in Manzoni quando la vide, rimase ammaliato dal suo fascino, ma cio’ che lo colpi’ maggiormente fu un’edizione dell’Adelchi che teneva sottobraccio. Era sempre stato restio alle coincidenze, pensava fossero mere invenzioni, ma quella volta si butto’. Scopri’ che quella donna sognava di divenir attrice teatrale e che si doveva preparare per un provino in cui era richiesta la conoscenza della tragedia manzoniana . Giovanni si propose di aiutarla e fu proprio durante il coro che cantava la fine di Ermengarda che l’amore s’impose. Ma un amore nato dalle ceneri di un amor perduto non ha vita lunga.
Poco tempo dopo si sposarono, l’idillio duro’ finche’ non si ributto’ sul lavoro.
Ada aveva abbandonato ogni sogno, nella speranza di viver felice al suo fianco, ma Giovanni non riusci’ mai a dimostrarle di aver preso la scelta giusta.
Aver lasciato appassire quel fiore, che avrebbe potuto condurre a dolci frutti, rappresento’ l’unico rimpianto della sua vita.
Fu nel periodo successivo che Giovanni inizio’ a parlare da solo, prendendo come amico l’unico che avrebbe potuto capirlo, quel Giacomo Leopardi che aveva collezionato amori perduti.

Il vuoto lasciato da Giovanni in questa settimana e’ stato immenso, la sua presenza, anche se silenziosa, era parte indispensabile della vita di ogni persona presente in facolta’. Chi non lo conosceva, ha perso una grande occasione; chi lo conosceva, non poteva credere a quanto successo; ma chi lo conosceva davvero, chi l’aveva osservato ogni giorno per vent’anni, come Luca, ed era stato artefice della sua scomparsa, non poteva far altro che immaginarlo, finalmente in pace, discorrer davvero col signor Leopardi degli accadimenti di questo mondo infausto.


Te collocò la provida
Sventura in fra gli oppressi:
Muori compianta e placida;
Scendi a dormir con essi:
Alle incolpate ceneri
Nessuno insulterà.
Volontà di Potenza
Spoiler:
Chi l’avrebbe mai detto, io, Lupo Mancini, spettabile avvocato, una vita a difendere criminali o presunti tali, mi ritrovo ad essere difeso.
Stamani l’aula di tribunale non brillava della solita luce e, per la prima volta in vent’anni, potevo scorgere le crepe sui muri. L’occhio cadde su una a forma di “c”, la c di colpevole; che strani scherzi può fare la mente umana!
I volti, un tempo cordiali, ora sprigionavano odio ed indifferenza, mi sentivo un condannato a morte.

Il giudice sta riesaminando i fatti, a breve mi chiamerà a deporre. La mia testa cerca una mano tesa…nulla. Genitori e parenti della vittima vorrebbero mettermi le mani addosso, i miei parenti, invece, non si sono nemmeno presentati e lei, lei e’ assente.
Incrocio lo sguardo sorridente di Giona, mi ripete che andrà tutto bene; caro Giona, mio amico sin dall’infanzia ed ora costretto a farmi da difensore.
- Signor Mancini – una voce irrompe nei miei pensieri: e’ il giudice che tante volte mi ha visto vincitore, oggi ha un’aria strana, quasi dispiaciuta
- Signor Mancini, venga a schiarirci le idee! –
Giona mi ha raccomandato di sembrare pazzo, non certo una bella cosa da dire, ma e’ l’unico modo per essere scagionato.
Mi avvio verso il banco dei testimoni, la mano destra non smette di tremare, brutto segno.

L’attesa di un verdetto non e’ mai stata tanto snervante, Giona ha gia’ finito il suo pacchetto di sigarette ed ha iniziato a chiederne all’accusa, primi segni di resa incondizionata.
La mia mente ripercorre all’infinito ciò che mi ha portato qui. Doveva essere un semplice viaggio in Sicilia, ero stato invitato al matrimonio di un mio caro amico e fu durante il ricevimento che la notai, Eleonora Guttuso, docente di filosofia a Palermo, mentre si districava in una reinterpretazione di Heidegger. La sua bellezza soffocò il mio spirito, l’anello posto al dito crocifisse il mio cuore. Era sposata con tale Ettore Alberti, un manager di non so che societa’, ma, mentre l’osservavo scostare un ciuffo di capelli dagli occhi, avevo solo voglia di farla mia.
La sua smisurata bellezza passò in secondo piano non appena la ascoltai parlare, era dotata di cervello fino e riusciva ad intrecciare discorsi degni del migliore avvocato, senza i difetti del migliore avvocato.
A fine giornata lasciai a Malincuore la Sicilia.
Passarono mesi prima di potermi togliere dalla testa quell’incontro, e quando credetti di esservi riuscito, accadde qualcosa di singolare, accanto alle solite bollette comparve una lettera dalla Sicilia. La presi con circospezione e corsi al mio appartamento.
Ero agitato ed emozionato, la aprii con delicatezza ed iniziai la lettura. Lo stile era così armonioso da ricordare il suono della sua voce, le parole erano come orpelli di una chiesa barocca, lo sfarzo era tale da inibire le mie membra.
Fu il contenuto, pero’, a farmi balzar giù dalla sedia: voleva uccidere suo marito, non resisteva più. Fu come se un terremoto avesse fatto crollare quella chiesa di parole, posai di scatto la lettera dentro un cassetto, col senno di poi avrei, forse, fatto meglio a distruggerla, e corsi a prendere del valium.
Quella notte sognai l’assassinio del marito, giravo intorno alle mura di Troia tirandomi la carcassa di Ettore e ne godevo. Osservata la scena, lei mi buttava le braccia al collo.
Mi svegliai zuppo di sudore, ma estremamente eccitato, sentivo il sangue pulsare, sentivo di essere invincibile, un vero Achille. Presi la lettera e le risposi, non esternai la mia partecipazione emotiva, mi limitai, semplicemente, ad assecondare i suoi desideri.
Una settimana dopo ricevetti una seconda lettera, ancor più affascinante della prima, i miei occhi divoravano ogni singolo punto e ne traevano benefici, risentii il brivido dell’onnipotenza.
Pian piano quelle lettere divennero la mia droga, non potevo, né volevo, farne a meno. Non mi accorsi, pero’, che il mio rendimento lavorativo andava calando e che, come ogni droga, la quantità diventa proporzionale all’abitudine. Fu così che, in breve tempo, dopo l’ennesima lettura, le risposi che sarei sceso in Sicilia per qualche giorno ed avrei ucciso suo marito.
La risposta non tardò ad arrivare e, datomi il suo benestare, mi imbarcai alla volta di Palermo.
Ci incontrammo in un bar del centro. Portava degli enormi occhiali scuri ed un cappotto color panna, era sempre bellissima, ma notevolmente smagrita.
Dopo i saluti iniziammo a pianificare il tutto con la tranquillità di una partita a carte coi parenti.
- Devi ricordarti bene l’orario di uscita.
- Tranquilla, ho memorizzato tutto: ora, luogo, arma…
- Sono così felice, finalmente ritroverò la pace!
- Ed io sono felice di renderti felice!
Mi avvicinai per darle un bacio, ma lei, con freddezza, si voltò. Non era ancora il momento, diceva, ed io l’assecondai.
Erano le 22:30, fortuna volle che l’illuminazione mancasse in quella zona, Ettore uscì puntuale come un orologio svizzero e, ad ogni passo, il mio sangue ribolliva.
Respiravo profondamente, ma non ero agitato, ero esaltato, mi sentivo Dio e, con questa sensazione in corpo, sparai quattro volte sul malcapitato Alberti.
La libido aveva raggiunto l’apice, barcollando, quasi fossi ubriaco, mi dileguai e, dopo essermi liberato dell’arma, chiamai Eleonora – Missione Compiuta – dissi, e lei iniziò a piangere e ridere come un’isterica, dopodiché riattaccò il telefono, lasciandomi pervadere da brividi di paura.
Il più era fatto, ora non restava che tornare a casa per poi trasferirsi definitivamente a Palermo. Ma l’arrivo a Fiumicino non fu quello che mi aspettavo, venni bloccato e portato via dalla polizia. Avevano perquisito casa di Eleonora e l’avevano trovata in overdose da psicofarmaci con le mie lettere in mano. Per fortuna riuscì a salvarsi, ma non la rividi più.

- La giuria ha deciso – per la seconda volta qualcuno irrompe nei miei pensieri, era la guardia stavolta. Ci accomodammo ai nostri posti, la mia mano continuava a tremare, sapevo che non ne sarei uscito con una tirata d’orecchi, ma, se potessi tornare indietro, rifarei ogni singola aziona, essersi avvicinati al divino, capire cosa provoca l’innalzarsi al di sopra degli altri, essere il giudice supremo, val bene qualsiasi punizione.
- Per l’accusa di omicidio noi dichiariamo il signor Lupo Mancini…colpevole! Infatti non v’e’ nessuna prova di plagio psicologico da parte della signora Guttuso, pertanto, condanniamo l’imputato a 30 anni di reclusione! –
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